Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

IL MULTIFAMILIARE

a cura dei tirocinanti del Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala

Il 29 gennaio 2022 il Centro Psicoanalitico dello Stretto ha organizzato il seminario “Il multifamiliare” con Andrea Narracci e Michela Melillo, neuropsichiatra infantile. Andrea Narracci, specialista in psichiatria e psicoanalista, è attualmente, membro ordinario dell’Associazione Italiana di Psicoanalisi, società affiliata all’International Psychoanalytical Association. Nel 1997 ha fondato la Comunità Terapeutica “Tarsia”, che ha diretto fino al 2005 e che fa parte del 1° Distretto del DSM.
Nel 2005, è divenuto primario dello stesso servizio territoriale che comprende due CSM con annessi due CD, la Comunità terapeutica e due case-famiglia.
Nel 2010 è divenuto direttore UOC 4° Distretto e Direttore del DSM della ASLRMA di Roma.
Ha tradotto il libro di Jorge Garcia Badaracco dal titolo: “Psicoanalisi Multifamiliare”. Conduce Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare dal 1997: per nove anni, dal 1997 al 2006 presso la CT Tarsia, negli ultimi cinque anni, presso i CSM, di via dei Riari e di via Palestro, fino al giugno 2010 e presso i CSM di via Lablache e di via Monte Tomatico nel corso dell’ultimo anno. Dal 2018 è Direttore Scientifico della Rivista “Il Vaso di Pandora. Dialoghi in Psichiatria e Scienze Umane”. (https://vasodipandora.online/andrea-narracci/).

La Società Psicoanalitica Argentina fu fondata nel 1942. La psicoanalisi argentina pone l’attenzione sul concetto di identificazione proiettiva di Melanie Klein. Secondo Pichon Rivière l’individuo malato appartiene ad un gruppo familiare altrettanto malato; egli ha introdotto concetti chiave come quello di vínculo e teorie come quella del depositante, del depositario e del depositato. Rivière ha introdotto, inoltre, il concetto di “portavoce”: un membro del gruppo si trasforma nel portavoce e depositario dell’ansia del gruppo; il paziente, preservando inconsciamente la famiglia dal caos e dalla distruzione, diviene l’oggetto di una segregazione. Il concetto di Psicoanalisi Multifamiliare nasce grazie a Jorge Garcìa Badaracco, quando divenne direttore di un reparto dell’ospedale psichiatrico di Buenos Aires intorno agli anni ‘60. Badaracco ha avuto il merito di scoprire che ogni paziente fa parte di una struttura familiare disfunzionale, e che è possibile osservare e interagire con una simile struttura e con i suoi membri prendendo in considerazione più nuclei familiari contemporaneamente. Inizialmente invitò i pazienti a tornare a vivere nelle stanze al di fuori del reparto e in seguito li invitò a partecipare a un gruppo, che si teneva ogni giorno a mezzogiorno. Con il tempo pensò di poter dimettere alcuni dei pazienti dal reparto visti i loro miglioramenti, anche grazie all’utilizzo in quegli anni degli psicofarmaci, nonostante l’iniziale disappunto da parte dei loro familiari. Al gruppo potevano partecipare i pazienti, i loro genitori o i loro familiari e si discutevano i principali problemi legati allo sviluppo dei figli e ai rapporti che si creano nelle famiglie nel corso del tempo. Badaracco notò come i figli fossero delle “caricature” del genitore al quale erano più legati, non mettendosi così in moto il processo di separazione-individuazione, sostituito invece da un legame simbiotico dove il figlio, invece di staccarsi dal genitore, preferiva rimanere nella sua orbita. Inoltre, venivano a crearsi dei legami chiamati “interdipendenze patologiche e patogene” dove i figli e i genitori sono imprigionati all’interno di “gabbie” che non permettono ai figli di acquisire una propria identità. La malattia del figlio potrebbe essere il risultato di un tentativo doloroso di interrompere queste interdipendenze. La psicoanalisi multifamiliare è una concezione terapeutica nuova, un modo nuovo di pensare la psichiatria, la psicoanalisi e le varie forme di psicoterapia. Essa è un contesto nel quale le persone possono fare esperienze arricchenti che le mettono in grado di utilizzare nel modo migliore, e contemporaneamente, qualsiasi altra forma di terapia (psicoterapia psicoanalitica individuale, psicoterapia familiare, psicoterapia del piccolo gruppo di pazienti omogenei a indirizzo psicoanalitico, psicoterapia di coppia). Secondo Narracci il gruppo funziona attraverso tre meccanismi: la funzione del rispecchiamento metaforico, dove ognuno dei partecipanti si rispecchia nel modo di funzionare dei nuclei familiari servendosi di metafore; la riacquisizione della capacità di rappresentare; transfert multipli permettono di scomporre i transfert psicotici in tante, meno impegnative e più sostenibili, proiezioni di parti di quelle relazioni psicotiche su tutti i partecipanti al gruppo. Nel gruppo psicoanalitico multifamiliare è possibile vedere in azione non solo i meccanismi inconsci che hanno generato la malattia, ma anche quelli che la mantengono in vita nell’attualità. Inoltre, ogni partecipante può vedere attraverso gli altri quello che in precedenza non era riuscito a vedere da solo. Secondo Badaracco il gruppo psicoanalitico multifamiliare è l’unico luogo in cui la psicosi si manifesta nel suo tipico modo di funzionare. Questo gruppo permette di rimettere in discussione il modo di pensare la malattia mentale, non su basi ideologiche ma su considerazioni prodotte da un confronto a cui tutti possono dare un contributo. Il sintomo è così espressione di una storia più grande, tramandata da persona a persona, come un agente virale, ed insorge come tentativo di far fronte a questa contaminazione, a questo passaggio di testimone: è un tentativo di guarigione. Il setting multifamiliare risponde inoltre all’esigenza di liberare la famiglia da quell’isolamento sociale che li vede spesso vittime, soprattutto in casi di patologia grave. Stare a contatto con persone che vivono esperienze simili libera dal senso di isolamento che spesso si prova, aiuta a stabilire legami di solidarietà e di mutuo aiuto, con i quali ci si può nutrire della virtualità sana degli altri, di quell’energia psichica che, rimossi i processi di identificazione patogena, spinge verso l’individuazione. La virtualità sana rappresenta un grande potenziale, una risorsa presente in realtà in ogni individuo, in attesa di essere sfruttata per il suo scopo principale, ovvero quello di fronteggiare le presenze patogene presenti nel proprio mondo interno. In esso si inserisce il concetto cardine del “guardare” come strumento da utilizzare all’interno del gruppo per ottenere un cambiamento. Per comprendere questo concetto basti pensare alle famiglie in cui generalmente il paziente “designato” comincia ad essere visto in maniera diversa, con timore. Così facendo si innesca un circolo vizioso in cui il soggetto percepisce di essere visto come colui che fa paura, e si trasformerà in qualcuno che fa ancora più paura, per poter negare così la sua stessa paura, ribaltando la situazione. La paura che si genera attraverso lo sguardo ha il potere di far ammalare, penetrando nell’inconscio. All’interno del gruppo, il poter vedere la sua virtualità sana condiziona il modo in cui lo guardiamo, quindi come egli stesso si sentirà guardato e si percepirà. Sentire che l’altro lo guarda come un portatore di virtualità sana, infonde e genera speranza, la speranza per attuare un cambiamento. Il gruppo è il luogo in cui è possibile, facilitati dalla presenza del gruppo, ritrovare dentro di sé e riuscire a raccontare, a sé stessi e agli altri, aspetti fondamentali della propria vicissitudine genitoriale che, inevitabilmente, rimanda al rapporto con la propria madre, con il proprio padre e con il resto della famiglia. “La famiglia è quella specifica e unica organizzazione che lega e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’essere umano, quella tra i generi (maschile e femminile), tra le generazioni (genitori e figli) e tra le stirpi (albero genealogico materno e paterno) e ha come obiettivo e progetto intrinseco la generatività” (Scabini, 1995). Quando si verificano situazioni di malattia all’interno di una famiglia, tutti i suoi membri vengono coinvolti emotivamente e praticamente nelle cure e nel percorso verso la guarigione. L’attenzione, in questi casi, viene rivolta primariamente sui pazienti che presentano una patologia o un disturbo più o meno grave. Vicino a loro sono presenti delle figure che potremmo definire “pazienti nascosti”, ovvero i loro caregiver. Caregiver è un termine inglese utilizzato per indicare “i componenti della famiglia più direttamente coinvolti nell’assistenza e che provvedono alle cure primarie del soggetto, come ad esempio i partner, i genitori, i fratelli o i figli” (Ferrel et al., 1993, Nijboer et al., 1998). Nella psicoanalisi multifamiliare il paziente può rivivere, in un contesto di sicurezza, situazioni traumatiche così dolorose che in precedenza, per evitare di ricordarle, si era trovato costretto ad affrontare mettendo in atto meccanismi di difesa inconsci. Nelle dinamiche interrelazionali del gruppo entra in gioco il mondo di ogni singolo che interagisce con quello altrui in maniera sana o patologica, ricreando ciò che avviene in ogni famiglia. Il gruppo, infatti, può funzionare come un terzo, alimentando sentimenti quali la fiducia, il rispetto, fungendo da “cuscinetto” attraverso cui elaborare e gestire le angosce, in particolar modo quelle legate al cambiamento, il quale molto spesso è doloroso. La funzione terapeutica si basa sulla posizione di “terzo” del terapeuta che, da questa posizione, può vedere ciò che non viene espresso dai genitori e dai figli e questi ultimi possono contare sull’aiuto del terapeuta per vivere i processi di cambiamento che li riguardano. Il gruppo psicoanalitico multifamiliare può dare un grande aiuto perché può permettere non solo ai genitori, ma soprattutto ai figli-pazienti di sentirsi meno soli e meno unici. In questa modalità i genitori possono riuscire a implementare le loro capacità comunicative e condividere i propri dubbi e le proprie perplessità relative alla gestione dei figli, o comunque dei familiari con problemi psichiatrici. Inoltre, non è da sottovalutare l’aspetto emotivo: i membri della famiglia coinvolti in tali gruppi percepiscono un sostegno dal gruppo stesso e si rendono conto di non essere soli, che altri nuclei familiari affrontano quotidianamente gli stessi problemi. In questi gruppi vengono messi in atto relazioni transferali (Badaracco 2007) e si veicolano componenti emotive personali più profonde. Le relazioni che si stabiliscono tra i membri dell’équipe e in tutta l’istituzione sono inter-relazioni: si realizza un processo di andata e ritorno che può continuare in modo infinito (Badaracco). La psicanalisi multifamiliare ha permesso di ricostruire un’atmosfera più “umana” all’interno del reparto psichiatrico. Si tratta di uno spazio in cui, con la presenza di pazienti e familiari, sia possibile dare luogo ad una conversazione paritaria tra tutti i presenti, permettendo la discussione di problemi legati ai pazienti e ai rapporti con la famiglia.

 

Maria Mauro, Caterina de Francesco, Davide Carmelo Magistro, Fabiola Merlino.