Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano
Ho scelto di titolare la mia recensione al libro Lock-mind di Angelo Moroni e Roberto Goisis, estraendo dal racconto stesso questa frase, simile a una didascalia di un dipinto d’autore esposto in un museo.
Uomo che cammina in campagna con cane e mascherina, immortala un periodo storico come in un fermo immagine.
E’ la perfetta fotografia di quello che stava accadendo giornalmente e non occasionalmente, è l’espressione metaforica di una realtà commutata sin nelle sue elementari abitudini quotidiane e che mai avremmo pensato potessero alterarsi, come portare a passeggio il proprio cane.
A cominciare dalla veste grafica il libro promette bene.
E’ maneggevole, sufficientemente voluminoso, dotato di una geniale copertina in carta fotografica che mostra al lettore squarci della realtà degli autori. Realtà diverse e affini, unite dal “mestiere” e dalla sensibilità psicoanalitica.
La cifra del libro è poetica, a volte incline a delicati ricordi del passato e al godimento di momenti di una quotidianità vissuta sempre con garbo e fiducia, in cui prevale un tono aggraziato, rispettoso e affettuoso nei confronti della vita, degli altri, direi una gratitudine del vivere che conferisce alle pagine una lievità tipica del pensiero poetico, dove esiste una crasi tra dolore e gioia, e dove si occhieggia con la speranza, anche nei momenti più difficili.
La narrazione risulta sempre delicata anche quando gli autori conducono per mano dentro i reparti di terapia intensiva, e fanno vivere una realtà troppo dura. Mi riferisco all’esperienza di Roberto Goisis e a quella così bene trasmessa da Angelo Moroni attraverso i suoi pazienti medici.
Il libro sembra infatti valorizzare la speranza e la fiducia che gli autori riconsegnano alla condizione della fraternità.
“Al di là dei ‘governi’, dei padri nobili, dei paternalismi, dei Terzi, forse è proprio il gruppo dei fratelli il contenitore che tiene, che lavora, che trasforma. Simile cosa probabilmente accade anche agli italiani, pensavo: al di là dei leader che li guidano o che vorrebbero guidarli, al di là della loro competenza e incompetenza, forse gli italiani se la sono sempre cavata perché sono un ‘gruppo di fratelli’, magari rimosso, caotico e multiforme che fa andare avanti la baracca della nazione”(pg126)
Quell’antico monito presente già nell’inno nazionale che, acquartieratosi nelle nostre profondità, accomuna tutti come “Fratelli d’Italia”, uniti e resistenti alle avversità, potrebbe essere alla base della capacità di sapersela cavare, mobilitando quote creative e artistiche.
Lo stesso spirito di fratellanza che entrambi gli autori, in modi diversi, ritrovano nel godimento di un incontro a lungo atteso, come bere una birra in via dei Mille con gli amici o sui tre scalini del Broletto, tornare a ricalcare il campo da tennis e ritrovare il piacere di lanciare e ricevere. Che bella metafora il tennis di Angelo! Racchiude il piacere giocoso del riscontro e del confronto con l’Altro. E soprattutto dell’ incontrarsi… a diversi livelli.
Allo stesso modo delle calde sensazioni descritte da Goisis durante il suo ricovero in ospedale, provate nel rapporto con un personale sanitario sconosciuto che tuttavia diventa presto come una famiglia. Scambi toccanti in cui la vita di ognuno assume un’importanza condivisa.
“Esperienze che mi hanno toccato profondamente e mi hanno fatto sentire che, nonostante la mia condizione di naufrago, non ero solo in quello che stavo vivendo. Che loro andavano sicuramente ben oltre la dimensione dell’atto medico. Compivano un atto umano”(pg205)
Lock-mind, a mio avviso, raccoglie senza mai appesantire, vicissitudine che tutti abbiamo vissuto durante il lockdown, dà voce all’ inquietudine, all’attesa, allo spaesamento, alle sensazioni spesso perturbanti che hanno abitato per almeno due anni ognuno di noi.
Un’operazione necessaria e generosa quella di chi, come i nostri autori, possa riuscire a raccontarsi, a condividere momenti intimi e privati della propria vita; possa/debba farlo per dar espressione e visibilità a tutti quei vissuti angosciosi e indefinibili, e nuovi che tuttavia non tutti possiedono la grammatura per poterne parlare con chiarezza e avvicinarli con coraggio.
Il tal senso Lock-mind va in direzione di una psicoanalisi volta al sociale nella misura in cui diventa espressione di interrogativi perturbanti, in cui gravitano e gravano complessi e spesso sfuggenti contenuti inconsci o preconsci, quelli difficili persino da ammettere di provare, quelli che spesso vengono zittiti per poi essere dimenticati mentre andranno a foraggiare comportamenti sintomatici che, presto o tardi, si presentano nella vita dell’individuo che ha impattato un traumatismo.
Dare parola a ciò che tace, dare forma all’informe, espressione a ciò che non ce la fa ad essere espresso è quello che fa (o dovrebbe fare) lo psicoanalista nell’esercizio della sua professione nella stanza d’analisi. Ma oggi, in una contemporaneità così martellata dall’incalzare di eventi traumatici, lo psicoanalista è chiamato a intervenire
muovendo–si dalla stanza d’analisi senza tuttavia abbandonare il registro analitico che viene piuttosto usato appannaggio della comprensione dei fatti sociali e della ricaduta psicologica sugli individui. E’ in corso un cambiamento antropologico a cui non eravamo preparati ma che, pure, dobbiamo avere il coraggio di conoscere.
“Forse è il momento di pensare a una nuova ontologia, a un nuovo senso dell’Essere. E questo ci sembra terribile, spaventoso. Fare esperienza dell’inconscio, in fondo, è fare esperienza del non-più-come-prima” (ibidem)
Verissimo! Disamina centratissima!
La narrazione di Moroni e Goisis può pertanto definirsi finemente psicoanalitica poichè dà al lettore la possibilità di riconoscere vissuti inconsci e poterne parlare in un momento in cui, ora più che mai, vengono sollecitati e tornano a galla.
Mi viene in mente il fenomeno dello spiaggiamento che si verifica spesso nel litorale della mia città a causa delle forti mareggiate provocate da correnti che interessano lo Stretto di Messina. Queste causano la formazione di mulinelli dal diametro anche di molti chilometri e creano vortici pericolosi che, agitando le acque del mare sin dalla loro profondità, portano a galla pesci abissali che costituiscono grande interesse e fonte di conoscenza per gli studiosi di scienze naturali.
Si direbbe che allo stesso modo, quando potenti correnti emotive scuotono l’inconscio, in modo imprevisto, ricorrente o temporaneo – come lo sono i traumatismi – producono altrettanti spiaggiamenti di contenuti emotivi abissali che debbono essere raccolti da esperti che possano prendersene cura a cominciare dalla possibilità anche semplicemente di descrivere l’accadimento traumatico.
In questo riconosco l’importanza della funzione narrativa dello psicoanalista che si esprime, oltre che all’interno del setting classico con il paziente, anche con la produzione di una letteratura “non clinica” che oggi, non a caso, sembra essere più prolifica del passato: perché ce n’è bisogno!
Parlare di quello che è accaduto lo rende più vero, più reale. Permette di riconoscersi, comprendere, svelare.
Lo dicono bene gli Autori:
“Fare l’esperienza dell’inconscio significa saper sostare in un’assenza fondativa, in un vuoto di certezze(…)confrontarsi con un ignoto, con un ‘impossibile’ che forse potremmo anche definire con il termine ‘inaudito’ “(pg137)
Lock-mind è un libro denso e insaturo, poetico e complesso.
E soprattutto onesto!
Un libro che ha il coraggio di affrontare i sommovimenti dell’inconscio e stare in attesa, in sospeso nell’area X :
perché soltanto questo è verosimile in questo momento!
“Non esiste nessuna fase 2 o fase 3 perché in realtà ora siamo in un’Aria x, incognita di un’ equazione che non sappiamo risolvere(…)Possiamo solo sostare in questa terra mai vista prima, nuova, aurale, preoccupante. Dobbiamo essere attraversati da questa assenza, da questo inconscio di cui stiamo facendo esperienza”(pg138)